Compilation

Wishlist

Vorrei essere polvere che si posa sulle superfici del tuo passato, divenendo patina che ne offusca e vela gli spigoli più appuntiti.
Vorrei essere lama per tagliare ciò che solo il sangue può imporre, liberando ciò che di te resta.
Vorrei essere candeggina per lavare via i sensi di colpa che ancora ostacolano le tue decisioni. Vorrei essere peso che serve per il tuo baricentro. Vorrei essere specchio deformante, per riflettere il Vero.
Vorrei essere Difetto per insegnarti ad amarmi.
Vorrei essere Consapevolezza; vorrei essere Respiro quando l’ansia vince; vorrei essere Musica che accompagna le tue giornate. Vorrei essere carta per assorbire i tuoi pensieri; vorrei essere il Fondo per mostrarti che lì non c’è nulla.
Vorrei essere mondo senz’angoli, così che tu non possa nasconderti. Vorrei essere Scelta, non Bisogno; Amore e non Dipendenza.
Vorrei essere Silenzio, così sentiresti solo la tua voce; vorrei essere spalle, così divideremmo il peso.
Vorrei essere vertigine senza paura; vorrei essere limite da superare, punto fisso da cui tornare; vorrei essere mani calde sul tuo viso.
Vorrei essere condivisione senza vergogna; vorrei essere Arte tra le tue dita, amante di chi ha pagato un prezzo troppo alto. Vorrei essere Tempo, per regalarti la guarigione.
Vorrei essere coperta, ma non nascondiglio; vorrei essere le parole che cerchi, senza il dolore che comportano.
Vorrei essere mura solide, vorrei essere chilometri tra te e ciò che eri. Vorrei essere Corpo sul tuo, per annullare vuoti e distanze. Vorrei essere risposte senza necessità di domandare, vorrei essere Approvazione; vorrei essere Pelle che racconta altre storie. Vorrei essere acqua in cui annegare chi non riesci a lasciar andare. Vorrei essere Bellezza per mostrarti il marcio che c’è in me.
Vorrei essere Nulla, così potresti essere Tutto.
Vorrei, vorrei,vorrei…
Indovina cosa? Vorrei fossi Tu e niente più.

V.

Wishlist – Pearl Jam

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Smell like teen shit

Un giorno di seconda elementare,mentre tutta la classe era intenta a perfezionare il proprio corsivo,venne a salutarci l’obiettore di coscienza dell’anno prima. Tutti lo amavano: una sorta di Fonzie alto due metri,con l’accento del sud,capace di sollevare quattro o cinque bambini contemporaneamente e farli roteare come sacchi di patate. Per cui,appena apparve sulla soglia,l’intera classe-venticinque bambini sudici ed urlanti-si lanciò su di lui cercando di abbracciarlo e baciarlo. Anche la maestra fu tentata di gettargli le braccia al collo. Io me ne rimasi seduta al mio posto,a finire il compito. Osservavo i miei compagni saltarsi addosso e spintonarsi,cercando di rubare un abbraccio:una massa di coglioni. Ecco,magari non lo pensai proprio in questi termini-che le parolacce ancora non si potevano dire,ma mi sembrò,dall’alto dei miei sette anni,una cosa davvero stupida. La maestra mi guardava perplessa, dicendo,con tono quasi di scusa: “È proprio una bambina tranquilla,una bambina tanto speciale”, mentre la sua testa si muoveva ad indicare un no di disappunto. E per me,quella parola,iniziò ad avere un sapore strano. Rimandò tutti a posto, solo allora io mi alzai dal banco-ignorando lo sguardo perplesso  della maestra- e andai ad abbracciare l’obiettore. Un abbraccio tutto per me,senza bisogno di tirare i capelli a nessuno.

[Speciale si infiltra tra gli ingranaggi della tua testa, mutandone il senso di rotazione e la velocità di funzionamento. Speciale, resta li. E diventa strana, diventa sbagliata.]

Le feste di compleanno erano una tortura: che necessità avevano sempre tutti di correre, urlare e giocare a giochi sciocchi come quello delle sedie. Ve lo ricordate? Un cerchio di seggiole, sempre una in meno rispetto ai partecipanti, e quando la musica finisce c’è chi, inevitabilemente, rimane fuori. Un gioco crudele,un gioco al massacro,all’esclusione forzata: se non sei dentro,non sei nessuno,sei un perdente. Tutti intenti ad accaparrarsi la propria sedia,il proprio posto,per essere i numeri uno. Uno. Non è un numero estremamente triste? È così solo.
Costretta da mia madre a partecipare a questi eventi sociali, finivo per passare tutto il pomeriggio con la mamma del festeggiato,aiutandola nelle faccende domenstiche e facendomi pettinare i capelli, come con le bambole. Alla fine la madre d’adozione doveva spiegare alla madre naturale dello strano pomergiggio, un po’contenta della compagnia un po’ preoccupata per il mio comportamento. E mia madre,ormai abituata,rispondeva con un sospiro:”Sà,è una bambina tanto speciale!”.

[Perchè la tua musica è così incazzata? Perchè le tue idee pendono sempre dalla parte sbagliata, rifuggendo  un baricentro che non è altro che banalità? Perchè i tuoi vestiti sono impregnati dell’odore dell’insicurezza puttana? Perchè riusciresti ad annegare nelle parole scritte da altri, ma non riesci a usare l’inchiostro per qualcosa di tuo?]

La prima volta che misi un piede, rigorosamente scalzo, sopra un palcoscenico fu per caso,per aiutare un’amica rimasta senza attrice nel suo spettacolino liceale. Era una rivisitazione di un racconto di Virginia Woolf dal finale tragico con tanto di protagonista morta suicida, il che era davvero in linea con il personaggio che mi ritrovavo a vivere all’epoca. Ne fui così entusiasta da invitare perfino i miei genitori, tanto che la delusione nel non vederli tra il pubblico fu, ovviamente, immensa. Un banalissimo errore di lettura li aveva condotti nella sala sbagliata del teatro, facendoli assistere ad un saggio di Hip Hop. Ora, a parte il nesso tra uno dramma della Woolf e una danza al ritmo di rap (?) che mi sfugge, non mi sono mai capacitata del fatto che non solo non avessero notato l’assenza della propria figlia tra le ballerine, ma che avessero assistito all’intero spettacolo (facendone grandi elogi successivamente) non accorgendosi della palese incongruenza tra quello che avrei fatto e quello che, effettivamente, stavano guardando!
Oggi,a distanza di una decina d’anni,mia madre mi racconta dello splendido spettacolo di Hip Hop al quale ha assisito la sera precedente. “Ho detto ad Alle (moroso di madre ndr) che anche tu un tempo hai fatto uno spettacolo simile.” “No,mamma io al massimo ho fatto danza moderna,mai quella roba li. Ti confondi”. “Ma se ti dico che mi ricordo di essere venuta a vederti!” “Già,peccato non fossi io.” “Ah giusto”. Ma non è finita qui. Tentando di salvarsi dalla gaffe ha iniziato a ricordare i miei spettacoli di teatro: “Si,quella volta siamo addirittura venuti a Fontanellato per vederti!” “No,mamma ancora una volta non ero io. Era S.”
Sono stata il fantasma di una figlia mai realmente nata nè vissuta. Di colori sbiaditi si tingevano le mie anzioni e le mie parole.

[Ho consumato pelle, sprecato sonno, vestito maschere deformanti contorni ed emozioni. Ho cercato di essere qualcosa, di assumere limiti che mi permettessero di inserirmi nel puzzle.]

Mi ci è voluto tempo e delusioni per capire che io un pezzo di puzzle non lo sarei mai stata nè avrei mai voluto esserlo. Io voglio essere l’immagine sulla scatola, quella integra, senza crepe nel mezzo,senza bisogno che qualcuno incastri tutti i frammenti per farne un intero.
Si capisce che l’importante non è la scelta che si fa, ma la possibilità di poter scegliere senza sentirsi costretti da nessuno, senza essere guidati dal bisogno di affetto o approvazione perchè quella,cari miei,non è scelta.
Si è molto soli nel voler gridare le proprie ragioni. Ci si diverte come pazzi quando si è sempre ‘contro’. Molte saranno le etichette che verranno appese ai vostri credo,molti saranno i tentativi di darvi una forma.
Urlate i vostri difetti cosicchè nessuno possa accusarvi di mancata perfezione.
Mordete le malelingue, fatele sanguinare così avranno qualcosa di cui (s)parlare finalmente. Sempre che ci riescano ancora.

[Starmi lontano è un’ ottima decisone, la mia vicinanza provoca riflessioni.
Sono malsana, metto il dito nel vasetto della Nutella, ho opinioni solo su ciò che so, mi sbilancio solo se ritengo la cosa importante e nulla lo è mai troppo per me, sono impegnativa, insofferente, mi annoio facilmente, mi astengo dal combattere battaglie non mie, non so stirare le camice e Oh well,whatever, nervemind]

immagine dalla rete

V.

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Lithium.

-Da quanto tempo?
-Come?
-Signor K.,le ho chiesto da quanto tempo prende i sali di litio.
-Oh. Dottore!
-La vedo perplesso,pensava di parlare con qualcun altro?
-Io…Dottore sta cercando di fregarmi? Non sono mica pazzo,no?!
-Ironia. Interessante. Le capita spesso?
-Solo con chi non la capisce.
-Dicevo,da quanto tempo prende il litio?
-Due anni.
-Nota miglioramenti?
-Non noto più nulla.
-Allora direi che siamo sulla buona strada.
-Non mi chiede come mi sento al riguardo?
-Perchè ha emozioni?
-Ironia Dottore,ironia!
-Prende qualcosa per questo?
-Si,l’esistenza ma tende ad accentuare il disturbo.
-Mh. È finalmente riuscito a trovare quello che stava cercando?
-Si,ma l’ho subito perso. Non sono triste.
-Il litio serve anche a questo. Esce?
-Da dove?
-…
-Non sono sicuro. Ma non mi importa.
-E allora?
-Abbiamo modulato i picchi,giusto? Non ci saranno più alti troppi alti o bassi troppo bassi. Sarà tutto nella media. Non potrò più essere nè Napoleone nè uno scarafaggio…
-Giusto.
-Che senso ha?
-Evita,sostanzialmente, che lei tenti di impiccarsi alla trave del soffitto,spacchi la suddetta, creando un bel buco e  arrecando disturbo non solo a sua madre, ma anche ai sovrastanti vicini.
-Mh. Ma non potrò più essere Napoleone…
-Vuole essere Napoleone?
-No. Non è questo il punto.
-E qual è il punto,mi dica?
-Il punto è: quando la incontrerò là,all’angolo con il lampione spento,lei vedrà la parte mediocre di me. Ad aspettarla non ci sarà un Napoleone nè tantomeno uno scarafaggio. Ci sarà solo la parte mediocre di me. La parte mediocre di me.
-O quella sana.
-Che differenza fa?
-Ritorniamo sempre al discorso della trave.
-D’accordo. Ma…
-Ma?
-La difficoltà nell’amare un Napoleone sta nella vasta superbia del suo pensiero, nell’incompletezza eterna del suo cuore. L’amore per uno scarafaggio dovrà invece scontrarsi con il disprezzo,con la follia di chi preferisce vivere nello sterco,pur potendo sopravvivere ad una guerra nucleare.
-L’amore non deve essere per forza patologia,lo sa?
-Nemmeno la follia lo deve necessariamente essere,potrebbe solo essere una prospetiva diversa nel vedere le cose. Eppure è patologia.
-Le prospettive non cambiano la realtà totale della cosa,ne occludono soltanto porzioni differenti a secondo dell’angolazione.
-Lo sa che io ho dei problemi con la realtà!
-E lei chi dei due vorrebbe essere? Napoleone o scarafaggio?
-Io sono entrambi. Se non fosse per il litio, s’intende.
-Certo. La dose attuale?
-2 mg/L. Sono così eccitato di incontrarla là.
-Descriva eccitato.
-Aumento del battito cardiaco, comparsa di sorriso in assenza di effettivi fattori scatenanti;pensieri proiettati unicamente sull’incontro, si frantumano nelle miriadi di possibilità possibili.
-2 mg/L e lei prova ancora eccitamento? Mi stupisco,francamente,che sia ancora vivo!
-I dizionari in questi casi sono molto utili,dottore. Le definizioni sono diventate le mie emozioni.
-Dovrebbe smetterla di leggere,contrasta gli effetti del farmaco.
-Ho trovato Dio nel guscio di una nocciolina.
-Le capita spesso di trovare Dio?
-Solo quando non mi serve o sono sotto la doccia.
-Parla con lui?
-È una domanda trabocchetto?
-No.
-È lui che parla con me.
-E cose le dice?
-Mi chiede se ho stipulato il cotratto telefonico adatto a me.
-Come?
-Mi chiede se ho stipulato il contratto telefonico adatto a me.
-E perchè secondo lei le chiede una cosa simile?
-Si preoccupa per me. È importante fare le scelte giuste.
-E lei cosa sceglie?
-Io non scelgo,io prendo il litio. Mi spezzerò mai,alla fine?
-Vede…

Bussano alla porta,un’infermiera apre senza attendere il permesso. Infila la testa nella stanza.
-Dottore il suo appuntamento delle 11 è arrivato. Con chi sta parlando?
-Con il signor K.,non vede?
-Ma è solo nella stanza,Dottore.
-Oh.

 

Lithium-Nirvana

foto presa dalla rete

 

 

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Polly.

Polly si veste di mediocrità. Ha banali occhi castani, un sorriso affabile, ma senza pretese; un viso grazioso che non lascia traccia nella memoria di chi la incontra. Polly di straordinario ha solo l’uomo, il suo uomo.

Polly dice:
Baciami

Polly ama il suo uomo, Polly mette vestiti carini per lui, cucina i suoi piatti preferiti ogni sera. Polly racconta alle amiche quanto il suo uomo la ami.

Polly dice:
Lui torna sempre a casa da me,alla fine.

Polly è triste. Polly è triste e nessuno lo sa,nessuno lo vede. Il suo uomo non la bacia più, il suo uomo non le parla più, il suo uomo è solo un corpo che si aggira per casa attento a non sfiorarla,a non guardarla,a non farla sentire viva.

Polly dice:
Ridammi forma con il tuo sguardo,consistenza con il tuo tocco,sensazioni con le tue parole.

L’uomo di Polly esce di casa. Questa sera non torna da lei, alla fine.

Polly dice:
Ti ho tradito.

Polly mente. Polly vede la mano del suo uomo stagliarsi sul suo viso. Attende ansiosa l’impatto. La guancia brucia,ma non importa:rimane così più a lungo l’impronta di quella carezza.

Polly dice:
Grazie.

Polly ha imparato ad urlare,a lanciare piatti,sputare insulti, a non cucinare, a rompere le cose. Polly ha imparato a raccontarsi tante verità. Polly si annoia. Polly recita. Polly sa come farsi amare.

Polly dice:
Le cinque dita che stritolano il mio polso imprimono il tuo desiderio di me sulla pelle. Segni scuri che marchiano ciò che è tuo. Le nocche lacerano il mio labbro, sono baci lievi:è la mia bocca troppo fragile per il tuo amore. Nel sangue che cola sul mio corpo,impregnandomi i vestiti,leggo tutte le parole che non dici,che aspetto. Soffoca le mie debolezze con i pugni:diventeranno la mia forza. I tuoi calci strumenti per aggiustare le mie imperfezioni,le ossa che sento rompersi le mie promesse di cambiamento.
Aiutami a compiacerti. Ti amo, non mi spezzerò.

Polly.
Polly era.

Immagine dalla rete

Polly-Nirvana

V.

 

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