Archivi del mese: marzo 2013

Biadesivo.

Piove. E sembra piovere da anni.

Non si capisce nemmeno più se stia piovendo dento o fuori.

È incredibile come ci si abitui alle cose,alle situazioni. Fatico a ricordare quando i miei stavano insieme,la quotidianeità di una famiglia intera. Ora vivo tra due case,tra sacchetti pieni di vestiti che mi trascino da un’abitazione all’altra,come una profuga. Agli inizi mi sono sentita così,un po’ smarrita,un po’ divisa. È buffo pensare come anche le azioni più semplici, come comunicare qualcosa, diventino complicate. Per esempio io devo ripetere le cose due volte e spesso mi scordo a quale dei due genitori l’ho detto così immancabilmente uno ne rimane all’oscuro. Poi, essendo io la figlia maggiore,divengo l’ambasciatore ufficiale delle notizie più disparate: “Di al papà di dire a tuo fratello di farsi la doccia”, “Di a tua mamma che il we siete con lei/con me”, “Di anche tu al papà la cosa x così la magari capisce che non sono pazza!”. Io faccio una bella scrematura,cambio qualche parola qua e là e quando mi gira o quando è strettamente necessario lo comunico al diretto interessato. Perchè la faccenda dell’ambasciatore che non porta pena non è mica tanto vera! Io non ho mai preso parti. È stata molto dura,specialmente perchè la colpa è tanto grossa quanto evidente,ma non ce l’ho fatta. Io sto ai margini,ascolto,ma non parlo,non giudico. E non crediate che questo sia un comportamento maturo,la mia è solo paura. Per me. Restare in disparte,ad osservare,è ciò che so fare meglio. Mia madre,forse giustamente,non me l’ha perdonato e tutt’ora tende a rinfacciarmi questa storia. Avrei dovuto difenderla,avrei dovuto dire qualcosa,insultare mio padre…non lo so nemmeno io veramente.

Quel giorno ero terrorizzata.Sono andata da lui in ufficio,aveva gli stessi abiti del giorno prima,stroppicciati e gli occhi gonfi. Ha cercato di spiegarmi,anche se di spiegazioni,specialmente quelle piene di balle,non ce n’era bisogno. Non dissi nulla-non piansi nemmeno-per diversi minuti. “Perchè a proprio a me?” fu la sola cosa uscì dalla mia bocca e non solo quel giorno,ma negli anni successivi. Ho impacchettato il tutto e l’ho depositato il quel posticino dove non è proprio il caso di guardare. E mia madre mi domanda perchè,perchè non parlo con mio padre,perchè non parlo per accusarlo,per usarlo,per difenderla.

Il posticino in cui non è proprio il caso di guardare si aprirebbe e tutto il putridume lasciato a macerare per anni ne uscirebbe e annegherei in lui.

La verità è che a me non importa,ha smesso di importarmi tanto tempo fa. È successo quel sabato,quando sono tornata a casa nel tardo pomeriggio,e li ho visti parlare seduti al tavolo. Parlavate. Ho capito che era finita,che non sarebbe più stato come prima. Ho preso mio fratello e l’ho portato a fare un giro,ho preso i miei sedici anni e gli ho trasformati in quarant’anni. E niente ha più avuto importanza.

Non ho mai pianto. Mai. Ve lo giuro.

E non soffro nemmeno più tanto. Ve lo giuro.

Quasi un anno fa ho scritto un post molto simile a questo. Rileggendolo ho scovato non solo un contenuto pressochè analogo,ma espressioni davvero molto simili a quelle usate qui,tutto ciò del tutto involontariamente. Nel vecchio post concludevo elogiando la famiglia di A.,quasi preferissi la sua alla mia. Vorrei ritrattare il tutto,non perchè non pensi più ciò che ho scritto,sia chiaro,ma perchè non si può sempre buttare via ciò che si rompe. La mia famiglia è un disastro,è complicata,è crudele,è piene di errori e di parole che fanno male. A volte vorrei scappare,vorrei andarmene e non sentire più nessuno,ma in realtà tutti quei cocci che tanto disdegno io gli ho raccolti,uno per uno.  Sapete cosa sono io? Io sono la colla. Sono quella che tiene insieme i cocci,anche se questi continuano a staccarsi. E l’ho capito tempo fa,in un discorso con A. che un po’ mi ha ferita: non lasciarei mai la mia famiglia per un’altra. Se lo facessi ho come l’impressione che si disgregherebbe,che i cocci si allontanerebbero troppo,si perderebbero.

Sono una nastro biadesivo. I cocci delle mia famiglia da una parte,i cocci di me stessa dall’altra. Ed in mezzo,io.

V.

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I Will Tear Me Apart.

È qualcosa che conosco bene. Non credevo che sarebbe tornato, non così forte,non così disperato. Dopo tutto questo tempo,oltretutto. Ma l’errore più grande sta nel credersi guariti,nel credersi diversi.

Si inizia da un pianto,uno piccolo,innocente. Ma alla fine non sei più in grado di fermarti e piangi mentre ti lavi i denti, mentri dormi,mentre guidi sotto la pioggia così proprio non vedi nulla,mentre ti guardi allo specchio. Sempre in silenzio,ovviamente. Sempre nascondendoti,controllando il respiro e i singhiozzi. Sabato me n’è sfuggito uno,è scivolato via dalla mia bocca senza che potessi fermarlo. Mio padre mi ha sentita e io non ce l’ho più fatta a trattenermi. Mi ha guardata spaesato,si è alzato e in maniera un po’ goffa mi ha abbracciata. Ero così disperata che mio padre non ha saputo far altro che abbracciarmi e io non riesco a ricordarmi l’ultima volta che è successo. Mi sono sentita piccola,una bambina. Ma anche spaesata e soffocata come in quegli anni bui neanche troppo lontani.

E ora le lacrime cerco di arginarle come posso. Poi verrà il vuoto-lo sento risalire da quegli angoli nasconti e putridi in cui l’avevo rinchiuso-e non uscirò più,taglierò i ponti con il mondo esterno e la sola relazione che mi rimarrà sarà quella con il mio letto. Ho già cancellato qualche amico da fb,così per il puro e perverso gusto di fare terra bruciata attorno a me. Gli sguardi altrui faranno sempre più male perchè assomiglieranno agli sguardi che io stessa poso su di me. E diverranno insostenibili. La voragine nel petto si ingrandirà a poco,a poco sino a quando mi verrà difficile fare anche le cose più semplici come lavarmi,alzarmi dal letto e respirare. Le alte mura che mi sono costruita inizieranno a soffacarmi e io tenterò di scalarle,rompendomi le unghie e cadendo milioni di volte.

Una volta,una sola,ci sono riuscita ad arrivare in cima.

Ma poi di che unghie sto parlando? Me le sono divorata,strappata,non rimane più nulla della mia sempre impeccabile manicure. È incredibile come si faccia presto a scivolare e cadere,anche se in effetti il capitombolo era già annunciato da tempo.

Non so a cosa aggrapparmi.

A te non posso,perchè so che scapperesti. Anzi so che scapperai perchè non vuoi una persona del genere al tuo fianco. Una persona sbagliata,non solo per te ,ma per il resto del mondo probabilmete. E vorrai una ragazza sempre sorridente, una senza ombre,senza fardelli. Perchè tutto ciò appesantisce,appesantisce la vita e si rischi di sprofondare. L’istinto di sopravvivenza ti dirà di scappare. Ascoltalo. Anche io scapperei da me se potessi.

V.

Joy Division -Love will tear us apart

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Comprami.

Dopo aver fatto chilometri a piedi,con i pensieri che scorrevano veloci, avevo bisogno di rifugiarmi in un posto che fosse un po’ fuori dal mondo e specialmente fuori dalla mia testa: la libreria. Mentre le mie mani scorrevano sulle copertine lucide e i miei occhi frugavano tra quelle migliaia di parole in cerca di qualcosa da portare a casa, ho capito che noi – noi esseri umani – non siamo altro che libri che aspettano di essere comprati.
Nascondiamo la nostra storia sotto ad una rigida e colorata copertina – attentamente costruita, seguendo i più rigidi dettami del marketing- per proteggere quei torrenti di parole intricate e difficili che rappresentano la nostra vita. Ci rendiamo allettanti con bei vestiti e sorrisi smaglianti, vendiamo ciò che di noi siamo costretti a mostrare: il corpo e quelle parole vuote che spesso usiamo,come un ingannevole titolo, per essere scelti in mezzo a centinai di belle copertine. È come entrare in libreria e vedere scaffali ben illuminati stracolmi di libri, accarezzarne il dorso con un dito, desiderando di passare le notti con più di uno di questi attraenti e sgargianti volumi.
Poi ne scegli uno. O qualcuno sceglie te.
La copertina viene sollevata e la storia, a poco a poco, viene mostrata.
Ci si può portare a casa, magari fuorviati dalla copertina, libri semplici e vuoti, rapidi da leggere e dimenticare come quelle storie – di letto- durature ed intense quanto un orgasmo.
Ci sono libri,che sotto a vivaci involucri nascondono parole difficili, sintassi complicata e a volte incomprensibile. Ma più procedi nella storia, più ti abitui al ritmo, alle sfaccettature di significato e tutto diviene più semplice, nello stesso modo ci sono persone – come la sottoscritta, credo – con le quali devi scavare, spezzarti le unghie e graffiare la pelle per arrivare, davvero, a loro. Ma se avrai pazienza e non ti scoraggerai, ne varrà la pena.
Persone che sono come i libri di autori russi: ricchi di parole, ma poveri di sostanza. Si incontrano, se si è fortunati, anche dei Foster Wallace o dei Gaarder, così complessi nella loro semplicità che per quando credi di aver raggiunto la loro essenza, ne rimarrai in realtà lontano anni luce.
Ci sono poi persone come ‘Storie di ordinaria follia’, per le quali la vera follia sta nel continuare a frequentarle nonostante la loro ovvia mancanza di qualsivoglia caratteristica positiva.
Persone come ‘La solitudine dei numeri primi’ che tutti adorano e con cui tutti vogliono uscire,ma che dopotutto,a te, non lasciano nulla. Al contrario ci sono delle ‘Veronika decide di morire’ o ‘L’insostenibile leggerezza dell’essere’,incompresi dai più, ma adorati da te (perché come te).

Poi ci sono dei Marquez, dei Baricco, dei Foer, delle Austen, che tieni li, nella tua libreria stracolma, di cui conosci ogni singolo punto, ogni parola, ma dei quali non ti stancherai mai. Questi libri sono le relazioni, quelle che ti si incidono sulla pelle, che cambiano il tuo io.
Ma non crediate che l’amore renda tutto facile. Ci sono libri, libri importanti, che anche dopo centinai di riletture fanno ancora male. Parole consumate dal nostro sguardo che pur rimanendo sempre identiche nella grafia, mutano di volta in volta significato. E noi scopriamo cose nuove. Così come le relazioni non sono fatte solo di baci e promesse, di regali e sorrisi. Ci sono anche calzini da lavare, piatti da scrostare, parole che feriscono, lezioni da imparare, paletti da piantare, limiti da cancellare,letti da rifare,letti da disfare, mani da tenere strette a qualunque costo.

Ce ne stiamo li, in giro per il mondo, come i libri sugli scaffali,sperando che qualcuno ci compri. Sperando che sfogli le nostre pagine con delicatezza, che non fraintenda le nostre storie, che – giunto all’ultima goccia d’inchiostro – non si liberi di noi, come quei libri abbandonati tra la povere di mercatini, in attesa che qualcuno li scelga. Di nuovo.

V.

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N [come notte] O [come oh che bel vestito] I [come idiosincrasia] A [come acidità]

  • Ci sono cose che ti restano addosso come un maglione pesante,a collo alto,che ti pizzica in parti del corpo che nemmeno sapevi di avere. E tu gratti,conficchi le unghie in quella lana apparentemente morbida,per poi spingerle sempre più a fondo sino a sentire la tua pelle. Gratti,scavi,graffi. Non ti viene in mente di toglierti quel maglione,tanto non potresti. È cucito sui confini del tuo corpo. La mia città,la città in cui vivo,è per me quel maglione.
  • Una cosa che trovo davvero arrapante sono i ragazzi con i capelli lunghi. Sebbene l’adolescenza sia passata da un po’,gli ormoni si son scordati di crescere.
  • Le madri hanno assurde convinzioni. Almeno la mia le ha. Per esempio crede che facendo benzina con dieci euro per volta (ad un distributre tra l’altro carissimo) si risparmi. Le idee migliori le sforna però quando si tratta del mio abbigliamento. Una volta nel reparto trash dell’ H&M ha trovato il mio abito da sposa:corto,rosa confetto e di quel tessuto finto chiffon,derivato probabilmente da carte di caramelle. L’ultima idea alla Carla Gozzi l’ha sfornata ieri. In casa io mi vesto come una che non solo sceglie i vestiti al buio,ma li pesca pure dal cassonetto degli scarti della caritas. Ieri avevo,del tutto casulamente,lo smalto abbinato con la maglia,a sua volta abbinata con il ghirigori del maglione da nonna che indosso per non morire di freddo. Mamma:”Ma guarda come stai bene vestita così!Perchè invece di metterti sempre in tiro non vai in giro così?” (non vi metto una foto perchè mi vergono troppo). Inoltre ha problemi con il concetto di eleganza. Non nel senso che si veste (o mi consigli di vestirmi) in modo volgare,l’esatto opposto. Abbiamo comprato un tubino beige,che non ho ancora messo perchè non ho ancora trovato l’occasione giusta. “Ecco non ti metti mai quello che ti compro!” “Ma! Non è che posso metterlo il sabato sera quando frequento posti in cui lo scontrino recita ‘arrivederci e buona scopata!’,sarei un po’ redicola!” “Ma cosa dici!Vedo tutte le ragazze della tua età mettere vestiti del genere!” [Questa frase la usa spesso anche con mio fratello. A parte il fatto che non è vero,ma non capisco che posti frequenti mia madre da essere circondata da adolescenti e ventenni!]
  • Mi è stato suggerito di aprire una rubrica mensile che riguardi i libri. Si accettano consigli. (O anche scongiuri per non farlo!)
  • Poverino. Siete crudeli ed ingiusti,non capite gli sforzi che quell’uomo ha fatto in tutti questi anni. A forza di strabuzzare gli occhi per ogni bel culetto è ovvio che abbia problemi alla vista! Non c’era mica bisogno di mandargli la visita fiscale,miscredenti!
  • Volevo segnalarvi alcune pubblicità della Dove. Per quanto trovi abbastanza scadenti i prodotti di questo marchio,ha creato finalmente una campagna intelligente,in cui a venir valorizzato non è il prodotto,ma la donna. I video qui , qui e il mio preferito qui.
  • Voi non lo sapete,ma tra le mansioni di un fidanzato c’è anche quella di portavoce ad honorem. Gli amici non vengono a chiedermi come sto,cosa faccio,se esco,ecc direttamente ,ma lo chiedono ad A. come sommo detentore dei miei sacri impegni e pensieri. Ed è assurdo che oggi un nostro amico (che è pure mio cugino!) gli abbia chiesto:” Cosa fa sta sera V.?” e ora nessuno si sia degnato di chiamarmi…forse perchè il mio portavoce è partito e non sanno più a chi chiedere informazioni!
  • Uomini:smettetela di ravanarvi in pubblico. Capisco la costante necessità di consultare il capo,ma per carità un po’ di contegno!

V.

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L’abito non fa la donna. Ovvero:non importa ciò che indossi,sotto ci sarà sempre pelle.

Essere donna significa dover combattere un po’ più del necessario. Per tutta la vita. Siamo da sempre considerate la razza inferiore per eccellenza, una sorta di minoranza che trascende il colore della pelle,la religione,la nazionalità. Se nasci donna,nasci comunque in una posizione di svantaggio (che sarà pur differente a seconda delle varie culture, ma sarà comunque svantaggiosa).

Mi affascinano le donne musulmane: non solo sono incredibili (e palesi) le immense differenze, ma sono altrettanto eccezionali i punti in comune con una donna occidentale. Mi ritengo un ottimo esemplare di questa categoria, non solo per la mia tendenza ad indossare vestiti di un certo tipo, ma anche per la grande libertà con cui ho sempre usato il mio corpo. Confrontarsi con una ragazza araba,quasi mia coetanea, è stata un’esperienza davvero unica. Dubai è sicuramente un’isola felice nel mondo arabo e il discorso che sto per fare è da considerarsi unicamente rivolto a questa sorta di oasi occidentale. Sebbene la ragazza con cui ho parlato al “pranzo culturale” abbia dato un quadro un po’ troppo idilliaco della situzione,le donne emiratine sono piuttosto tutelate. Hanno il diritto di studiare,di lavorare,di scegliere il marito che desiderano e possono anche divorziare. Tutto questo almeno formalmente. I matrimoni combinati sono sicuramente i più comuni: i due sposi possono avere libertà di scelta,ma difficilente andranno contro il volere della famiglia. La zia del mio ragazzo ci raccontava di due sue amiche emiratine:l’una sposata con matrimonio combinato,l’altra per amore. E badate bene che “per amore” non intendo assolutamente nulla di simile a quello che abbiamo qui. La ragazza in questione ha studiato a Londra e li ha incontrato questo ragazzo,musulmano,si sono piaciuti e hanno interpellato le famiglie. Queste si sono incontrate,si sono piaciute e hanno dato il loro benestare per il matrimonio. Come dicevo nell’articolo precedente gli arabi sono generalmente molto attaccati al loro status sociale,per cui il matrimonio diventa a tutti gli effetti un modo (specialmente per la donna) per matenere o innalzare tale status. La donna sposata con matrimonio combinato definiva l’altra una “bad girl”,evidenziando appunto come la nostra concezione di matrimonio sia davvero differente dalla loro. Le donne sposate hanno diritto,se vogliono,a continuare gli studi (si sposano giovani) e a lavorare (in tal caso possono disporre del loro stipendio come vogliono,in quanto è l’uomo che deve mantenere la famiglia),ma difficilmente troverete donne arabe che lavorano. La ragazza dell’associazione era laureata in economia e aveva chiesto il permesso alla madre di lavorare in un hotel (con ovviamente una posizione manageriale) o di diventare hostess. La madre non aveva acconsentito in quanto non avrebbe permesso alla figlia di lavorare come, rispettivamente, una cameriera o una schiava! Prima del matrimonio i mariti devono pagare una sorta di dote,decisa dalla moglie. Solitamente scelgono gioielli,in ogni caso il valore medio di tale dote si aggira intorno ai 30.000 euro. [Mentre qui in Italia una coppia giovane fatica anche a pagare l’affitto.]

Ma veniamo alla parte più interessante: l’abbigliamento. Ho indossato l’abaia per circa 10 minuti e vi assicuro che si muore di caldo. In giro per Dubai si vedono donne coperte a diversi livelli,ne ho viste anche alcune con il volto completamente coperto. La ragazza dell’associazione ci ha spiegato che in origine tale abbigliamento aveva un significato funzionale,per proteggersi dal sole,dal vento e dalla sabbia. Con il tempo è diventato moda e ora una donna è libera di coprirsi o meno il volto. Può anche esserci il marito geloso che non vuole mostrare la propria moglie,ma penso che per lo più sia una decisione presa dalla donna stessa. Per noi occidentali sarebbe inconcepibile fare una scelta del genere (tra l’altro esiste anche una versione “acquatica”,sia dell’abaia che del velo). Tale abbigliamento è scelto per non indurre in tentazione l’uomo,ma non pensate che la donna araba sia una repressa bigotta. Adorano la biancheria di victoria’s secret,i tacchi alti e vanno anche a lezione di danza del ventre! Sicuramente l’ occidentale ha più libertà di scelta e di pensiero (libertà che non deriva solo dall’ambiente socio-culturale in cui vive,ma anche dal desiderio di emancipazione a discapito dei beni materiali. Questo slancio manca completamente nella donna araba);ma il corpo che è diventato nostro a tutti gli effetti dopo tante battaglie,si è trasformato in un’arma a doppio taglio. Da una parte c’è l’ostentazione,il mostrarsi a tutti i costi e dall’altra il continuo senso di inadeguatezza. Crediamo che il corpo sia nostro,ma in realtà è più per lo sguardo altrui che per libertà di scelta che lo mostriamo. La donna occidentale è portata a credere che il coprire se stesse sia una forma di schiavitù,di sottomissione,ma allo stesso tempo noi siamo schiave dell’opposto,dell’esibizionismo. E ciò porta, nella maggior parte delle donne, ad una continua lotta contro se stesse perchè il riflesso nello specchio non è più cosa privata,ma diviene,inevitabilmente,pubblico. Tu sei,prima di ogni altra cosa,il tuo corpo. All’associazione hanno detto una cosa che mi ha molto colpita: le donne che indossano il velo integrale  nascondono, non solo la loro identità,ma anche le loro emozioni. Nulla del tuo aspetto esteriore viene mostrato al mondo,lasci questo privilegio solo a chi decidi tu. La cura del corpo,l’essere magra o grassa,depilata o no,avere i vestiti all’ultima moda fa parte,come da noi,dell’essere donna. Solo che loro lo fanno per loro stesse e per il proprio uomo.

Diversità è la prima parola che ti viene,inevitabilmente,in mente. Ma se lasci cadere l’involucro,qualunque siano le sue fattezze,ciò che scopri non è poi così diverso.

V.

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Dove l’Oriente incontra l’Occidente.

Ci dimentichiamo troppo spesso che la fuori c’è tutto un mondo,in cui uguale e diverso non hanno alcun significato. Esiste soltanto l’altro,in tutta la sua unicità. È stato un viaggio strano,uno di quelli che ti apre gli occhi,che ti fa apprezzare non solo ciò che hai,ma anche ciò che sei. Non so bene spiegarvi il perchè,anzi non so bene spiegarvi punto,ma in questo viaggio mi sono piaciuta. Mi è piaciuto lo sguardo che poso sul mondo,il mio modo di pensare e il modo il cui sono cresciuta. Ho la capacità di apprezzare,con tutte le loro differenze e stranezze,culture diverse. E ne sono estremamente grata.

Dubai si è sviluppata negli ultimi 10 anni,divenendo a mio parere uno dei paesi musulmani più occidentalizzati. Dal deserto è nata una città incredibile,che sembra costruita seguendo i capricci e l’immaginazione di un bambino. Le strade si snodano tra grattacieli dalle forme  e luci futuristiche,tutto nasce per stupire,sorprendere e soprattutto sottolineare la potenza (economica) di questo paese. Tutto è abbagliante,un miraggio nel deserto che diviene tangibile. Non c’è nulla che tu non possa fare:vuoi sciare? Basta che tu vada al Mall of Emirates e li troverai una pista,con tanto di impianto di risalita,di 22.500 mq. Una acquario dentro un mall?Una cascata?Vuoi pattinare sul ghiaccio dopo una seduta di shopping intensivo? Non vi preoccupate che c’è tutto!

Lo shopping sembra essere l’attività principale del posto. Ci sono dei mall giganteschi (i negozi variano da H&M a Chanel),in cui vedi gente assatanata (non emiratini) che gira con trolley riempiti di acquisti (costosi). I locali,gli emiratini,sono schifosamente ricchi. Generalmente ricoprono posizioni lavorative di rilievo (non troverete mai un arabo che fa il cameriere) oppure non lavorano affatto. Lo status sociale ed economico è tutto. È una città-stato in cui l’ internazionalità e la commistione di culture ti lasciano a bocca aperta (è il lato che più ho apprezzato),ma a fianco di questa notevole apertura,vi è una grande disparità sociale. Il motore di questa città (oltre al petrolio,ovviamente) è l’enorme quantità di forza lavoro che viene “importata” dai paese vicini (Pakistan,India,Malesia,ecc) e che va a svolgere lavori “umili”. Abbiamo fatto due chiacchiere con un taxista pakistano che lavorava a Dubai da 8 anni ed era tornato a casa sua (dove aveva una moglie) solo una volta. Avrà avuto neanche trent’anni,raccontava dal suo paese,della sua terra e del suo lavoro di contadino. Essenzialmente quella che si trova a Dubai è una dittatura illuminata,in cui il capitalismo puro regna e la schiavitù è ben mascherata (scordatevi orari lavorativi decenti o sicurezza nei cantieri o di non lavorare perchè ci sono 55°C). Gli emiratini generalmente non trattano con grande rispetto chi non reputano loro pari,ma possono essere davvero generosi con chi ritengono degno delle loro attenzioni.

Ci sono mondi,vite,che noi non riusciamo nemmeno ad immaginare chiusi nella nostra piccola e problematica quotidianità. Non ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati,di quanta libertà abbiamo.

La città,sebbene quasi priva di posti culturali da vistare data la sua giovane età,offre però innumerevoli attività. Lungi da me voler creare una guida per eventuali futuri visitatori,ma sicuramente vi consiglio caldamente tutte le cose che vi sto per raccontare!

1. Noi alloggiavamo…in mezzo al mare! O meglio qui,struttura del tutto artificiale costruita portando sabbia dal largo. In fondo alla palma vi è questo hotel megagalattico,l’ Atlantis, con annesso acqua park in cui siamo andati l’ultimo giorno. Qui c’è uno scivolo molto particolare,che ti conduce in un tunnel trasparente,immerso in una vasca con squali e pesci esotici,dandoti la sensazioni di nuotare con essi.

2.I suq nella parte vecchia sono sicuramente la cosa più caratteristica. In realtà anche questo è un lungo di shopping, (a buon mercato)! In questa zona si trova una sorta di associazione culturale che organizza incontro con abitanti del posto,in modo da mettere a confronto e scoprire la cultura araba. Abbiamo partecipato ad uno di questi “pranzi culturali”,ma ve ne parlerò in un altro post in cui scriverò un po’ della condizione della donna in questa società così diversa dalla nostra. SUQ

3. Il giorno del mio compleanno siamo stati al mare al mattino e al pomeriggio abbiamo fatto shopping al Dubai Mall,altro enorme centro commerciale. Alla sera abbiamo cenato in un ristorante francese (sempre al Mall),godendoci lo spettacolo delle  fontane. Siamo saliti sul Burj Khalifa,alto 830 m. Mentre sali in ascensore ti si tappano le orecchie! La vista è spettacolare. Non poteva mancare la torta ovviamente! Siamo andati al cheescake factory (dove lavora Penny di BBT 😀 ). Qui sono stata astutamente ingannata da A.,che è riuscito a tramare con la cameriera senza che me ne accorgessi. Così oltre alla torta ho avuto anche la candelina e la canzone! (Io super imbarazzata)

torta di compleanno

4. Abbiamo fatto anche un po’ di vita notturna. I locali sono favolosi,sebbene i cocktail siano piuttosto cari. In particolare vi consiglio il Buddha Bar.

5. Questo post sta diventando chilometrico,quindi terminerò con l’esperienza che più mi è piaciuta:il deserto. È un posto magico,le dune sono ipnotiche,i colori caldi ti illuminano lo sguardo. Con la jeep abbiamo fatto un po’ di rally sulle dune (meglio delle montagne russe!),per poi dirigerci in un’oasi dove abbiamo fumato il narghilè,fatto le foto con gli abiti tipici,mi sono fatta un tatuaggio all’ hennè e siamo andati sul cammello! Quando si siedono praticamente si inginocchiano per cui ti sembra di essere sbalzato in avanti e ti vedi già spiaccicato a terra,ma basta tenersi ben saldi.

V.

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Skyscrapers and Sand Grains

V.

Ps. Presto arriveranno post sull’esperienza araba!

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